venerdì, dicembre 17, 2004

FAME CHIMICA

Il Ballo dei pezzenti

Girato tra l’Italia e la Svizzera, questo mediometraggio riadattato a film insegue una tradizione del cinema italiano indipendente da proteggere e coltivare; ritorna la patata bollente dell’universo giovanile, ma siamo molti anni luce lontani dalla trattazione canonica della materia, capace di provocare danni incalcolabili alla nostra produzione in celluloide (sotto la voce divismo di cartapesta, chiedere del signor Muccino). Il film di Vari e Bocola, finanziato da una cooperativa su un’idea del ’97, ricalca sostanzialmente gli stereotipi del genere, cucinando personaggi e situazioni non certo nuove; si rischia la deriva didattica nell’esplicita esposizione del paradigma, dove il messaggio è giocato sull’eccesso e la filippica sovrasta spesso l’allusione, ringhiando il suo contenuto invece di iniettarlo sottopelle [una per tutti: la grande rissa bianchi/neri per simboleggiare il razzismo latente (ma non troppo…) della società contemporanea]. FAME CHIMICA accusa vagamente il colpo del luogo comune, almeno in un caso rimanendone annichilito: i due personaggi che scopano in piscina affiorano dalla peggiore cartolina giovanil/fighetta che davvero non vorremmo più vedere. Nonostante tali difetti innegabili ed evidenti e con un carico di aggravanti di carattere “sociale” (l’ardua pretesa di raccontare ciò che ci circonda), la pellicola mantiene un’onestà di fondo che le regala a tratti inedita freschezza, distinguendola dalla produzione di genere; se lo spettatore saprà gettare l’occhio sui singoli squarci piuttosto che sul globale risaputo scoprirà amarissime sorprese [una gioventù fancazzista ed apatica, esseri umani ipnotizzati davanti alla Playstation, una discoteca mai così vera…] che imbracciano la consegna dell’ultimo realismo metropolitano, ormai l’unico possibile. Lo spartito sentimentale è quello di JULES ET JIM –capolavoro fin troppo sputtanato- mentre la vacuità periferica (Piazza Gagarin, che nella realtà non esiste, possiede la semplicità del simbolo) rivolge costantemente il capo a Spike Lee senza possederne l’essenziale furore. Lo diciamo subito: la colonna sonora mutevole ed adeguatamente rappata resta lo spunto migliore dell’intera pellicola. Un’insospettabile sorpresa: Zulù che compare per manovrare il sipario del film, ritagliando un memorabile controcanto omerico al flusso degli eventi.

Emanuele Di Nicola

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