mercoledì, marzo 23, 2005

Un paradosso che salva la classifica

di Giovanni Lindo Ferretti


"Molte più cose ben più strabilianti dimorano quaggiù". Fa colpo che i C.S.I. improvvisamente si ritrovino al primo posto, per una settimana, nella classifica dei dischi più venduti in Italia. E perchè mai? La musica vive e si nutre di contraddizioni insanabili. E' un luogo essenziale dell'economia moderna. Solo la droga, le armi, la prostituzione rendono di più, ma sono il mercato illegale anche se parallelo e intrecciato a quello legale. E' luogo impuro per eccellenza. Il luogo delle fregature, delle rapine più eclatanti e riuscite ai danni delle nuove generazioni. E' il luogo puro per eccellenza dell'immaginario dell'acquirente, che consuma musica per assecondare i moti dell'anima, del cuore, del corpo. E' il luogo della crescita tumultuosa, delle esperienze più profonde, è lo spazio intimo della libertà personale e, a volte, collettiva. La musica è il regno della complessità e il paradigma del nostro mondo in questi anni.
Comprenderne la realtà, l'infamia, l'ansia liberatrice che la scuote periodicamente e la cappa oppressiva che subito la riavvolge è, io credo, la possibilità più semplice e fattiva di comprendere la nostra civiltà. La musica ha il potere di trasformare i singoli, determinare la società. E' labile, cangiante, inafferrabile e insieme strutturata, ferrea, rigida. E' che della musica l'umanità non può fare a meno, mai, perchè solo la musica la rappresenta degnamente dall'alto al basso. Il cinema senza musica non esisterebbe, misera sarebbe la letteratura e la televisione un telegiornale unico.E' che la musica vive sempre più di oggetti commerciali che ne assicurano la riproducibilità perfetta e infinita. Solo un mercato piccolo, provinciale e quindi subordinato, può stupirsi per i C.S.I. al primo posto in classifica. Doveroso, invece, come una boccata di aria pura. Promettente. Aspetto di vederci gli Ustmamò e poi i Marlene Kuntz e poi...Allora la musica moderna italiana dimostrerà a se stessa di essere adulta. Di avere superato la fase ormonale legata alla biochimica adolescenziale che si nutre prevalentemente e giustamente di mitologie internazionali nella sua parte migliore e nel restante di clonazioni più o meno riuscite che traducono in lingua italiana emozioni o evocazioni altre. "Ho visto Sting con l'impermeabile in ginocchio sul palco". "No, sbagli, era Nek in piedi." Dice Antonacci di ispirarsi ai Sex Pistols e Ferretti ridendo renderà omaggio a Beniamino Gigli. Se la musica è una pagliacciata i C.S.I. devono essere fuori catalogo. Se la musica racconta, interpreta, anticipa il gioco della vita (gioco come lo intendono i bambini, cioè una cosa maledettamente seria) i C.S.I. sono sotto stimati, sconosciuti, incapaci di arrivare al loro vero pubblico: quello che non compra dischi perchè per quello che gli ributtano addosso radio e televisione è evidentemente un giochetto stupido, superficiale e noioso, ma "molte più cose, ben più sorprendenti, vengono in visita, imprevedibili". Tutti i giochi sono aperti, onore al merito. Ultima considerazione.
Che i Prodigy siano al primo posto in USA non centra niente con i C.S.I. al primo posto in Italia. Dimostra tutt'altra cosa e complica ulteriormente il gioco. I Prodigy sono un gran bel disco, oggetto commercialmente perfetto, suoni e atmosfere potenti. E' tutto, può non essere poco, ma non c'è altro. Ho visto il loro concerto, passando dal mixer, sembra quello della Barbie. Questa potrebbe essere l'ultima delle grandi truffe: il concerto non è una discoteca con un grande cubo che pompa musica preregistrata ai limiti del sopportabile.

"Fatevi sotto bambine e bambini occhio agli spacciatori, occhio agli zuccherini".

Intervista pubblicata sull'inserto "Musica" de "La Repubblica" del 1 Ottobre 1997

martedì, marzo 15, 2005

Medea/Medee di Carlo Varotti

La storia tragica di Medea è una delle più cupe nell'universo del mito antico; ma soprattutto la storia di Medea è forse la più nota tra le vicende del mito antico legate alla figura dell'altro e dello straniero.

Medea viene vista pertanto come figura dell'alterità (donna, sapiente e straniera), figura-tema-problema presente in testi classici, ma ancora aperto, vivo e vicino. Medea è in questo senso testo esemplare in una misura addirittura sorprendente, perché il nostro tempo è segnato profondamente da uno dei temi fondanti della Medea, cioè dal confronto-scontro di civiltà, in generale dal problema dell'alterità.

Medea, maga, figlia del re della Colchide, si innamora del greco Giasone che è giunto nel suo lontano paese (sul mar Nero) per impossessarsi del vello d'oro. Per Giasone Medea tradisce il padre, uccide il fratello, abbandona la patria; ma l'atto che la distingue per la selvaggia tragicità è quello che Euripide scelse di rappresentare nel suo dramma (rappresentato nel 431 a. C): l'uccisione dei figli, l'atto estremo con cui essa si vendica dell'abbandono di Giasone.
Della storia di Medea esistevano infatti in epoca antica numerose versioni, ma la vicenda più nota è quella fissata da Euripide, interamente "costruita" nella prospettiva del tragico infanticidio che costituisce per lei un punto di non-ritorno.

La storia di Medea ha affascinato da sempre scrittori e artisti, tanto che la lista dei rifacimenti e delle riscritture del mito sarebbe lunghissima.

Ultim'ora

E' ufficiale: Diego ha paura

sabato, marzo 12, 2005

Siena.

la tranquillita'.
l'odore della terra.
ritrovare i propri ricordi.
scoprire un amicizia.
viaggiare liberi.
la neve sugli appennini.
il freddo.

venerdì, marzo 04, 2005

vanilla sky... si o no?

oggi mi guardo vanilla sky penso ..... molto alternative-pop....un matrix sentimentale la vita, la felicita'....pero' carino...... e come di consueto da ignorante..vado sugli spietati e scopro che e' un super remake.......scopiazzato da un film intitolato apri i tuoi occhi. e' la prova che l'operazione commerciale ha avuto il suo successo...

riporto la recensione degli spietati...


Monkey See, Monkey Do

Hollywood fagocita la giovane Europa del cinema ed espelle un ibrido mostruoso che potrà apparire diverso e intrigante solo a chi non abbia visto il (non eccezionale ma interessante) film di Amenabar APRI GLI OCCHI di cui VANILLA SKY costituisce il remake. La Mecca del cinema, dunque, continua ad arraffare idee dove può, guardandosi bene dal mantenerne integro il potenziale eversivo, piegandole ai suoi vetusti canoni grossolanamente spettacolari, alla rassicurante convenzione, alla triste magniloquenza da blockbuster. Se Amenabar nel suo film, pur nella banalità dei dialoghi e con l'ingenuità di un armamentario simbolico piuttosto raffazzonato riusciva, in virtù di una stringatezza e di una capacità di dipingere atmosfere (abilità confermata nell'ultimo THE OTHERS), ad avvincere ed intrigare, si sente lontano un miglio l'odore della paura di Crowe che, intuendo le possibilità di successo di un remake, ma giudicando l'astrusità dell'intreccio troppo rischiosa per un pubblico tutto popcorn come quello statunitense, smussa gli angoli, cerca di fare luce chiarissima su tutti gli snodi narrativi, inserisce le consuete ammiccanti soluzioni (personaggi, situazioni, battutine stravisti strasentiti strazianti) che denunciano chiaramente la necessità di archiviare il film sotto "Operazione Volgare" . Del resto cosa ci si poteva attendere da un regista mediocre, mediocre sceneggiatore, che dirige un mediocre attore di enorme successo (qui anche nelle vesti di produttore) se non una pappa standardizzata pronta per essere ingoiata con gusto da uno spettatore onnivoro e svogliato? Non sorprende dunque che le cose migliori siano quelle fotocopiate dall'originale (la serata al locale) e che tutto il resto sia gonfio e dilatato all'inverosimile da luoghi comuni, citazioni patetiche (la nouvelle vague al muro), comparsate che dovrebbero fare simpatia (Spielberg tra gli invitati alla festa), condito con musica di serie A (Radiohead, Chemical Brothers, persino l'ipnotica INDRA dei francesi Thievery Corporation etc.), con la Cruz a ricoprire lo stesso ruolo che aveva nell'originale e la Diaz a fare la guastafeste (la più antipatica e la migliore del terzetto). Lascia di stucco (non ci arrendiamo, continuiamo a stupirci nonostante ormai non ci si attenda nulla di diverso) la disinvoltura con la quale le major americane riescano a svilire qualunque opera del Vecchio Continente riprendano in mano, la sottovalutazione di un pubblico che non "può" andare a vedere il film originale, che "deve" esserne informato a mezzo di una rozza traduzione dello stesso in un linguaggio semplificato che sia in grado di comprendere; lascia di stucco e avvilisce, avvilisce e fa rabbia. Fa rabbia perchè non si sente alcuno sforzo di realizzare qualcosa di nuovo, diverso o anche semplicemente degno, solo quello di creare un prodotto che soddisfi un basso istinto (dello spettatore e del produttore). Ecco che il film, dunque, oscilla perplesso tra thriller, fantasy, love story senza fare di questa confusione un pregio come nell'originale, che viveva bene proprio di questa indecisione, ma solo una tela bucherellata nella quale inserire domande esiziali quali "Cos'è la felicità?", "Credere nell'amore?", "La vita è un sogno o i sogni aiutano a vivere meglio?", rimanendo dalle parti di Marzullo, mezzanotte e dintorni della ragione, tutto quello che molti amerebbero ascoltare o vedere in una sala cinematografica, immagino... A suggello un finale di lampante chiarezza che dissipa quel tanto di dubbio di un'ulteriore messa in abisso che nell'originale riscattava l'artificiosità dell'epilogo. Operazioni di cinico mercato perchè vorrebbero passare per trasversali tentativi di intrattenimento intellettuale e si traducono in campionari del ridicolo, perchè prive di coraggio, prive di una vera passione per quello che si sta mettendo in scena, pronte a essere modificate non appena un'arditezza o la possibilità di perdere un biglietto venga a fare capolino. Monkey see, monkey do: cinema da primati alla faccia dell'evoluzione, cinema che svende pattume sotto forma di sogni. Aprite gli occhi.

Luca Pacilio

martedì, marzo 01, 2005

ho passato alberelli

finalmente al 3 appello dopo una stremante preparazione ho passato semantica dei linguaggi naturali detto anche o alberelli con 19

l'incubo e' finito la laurea e' vicina.
bye

In morte di un porno-femminista

Sabato 18 settembre se ne è andato all’eta di 82 anni il re del porno-femminismo, il mito soft-core dell’America opulenta, l’ erotomane abbondante: Russ Meyer. Una morte indegna, soffriva da tempo e negli ultimi mesi erano pure subentrate le complicazioni di una polmonite.

Il suo era considerato cinema di exploitation o di serie Z, basato su storie torbide, tra splatter e horror, porno e trash cristallino. Ma nel panorama bizzarro di controculture di cui era intriso questo “cinema diverso” i suoi film attirarono più di altri l’attenzione dei critici mainstream. A differenza delle opere dei registi contemporanei del filone, i suoi film erano infatti realizzati con tecnica ed inventiva, a partire dalla scelta dei colori “cartoonistici” fino alle angolazioni di ripresa ed al montaggio serrato. Prima di dedicarsi unicamente al cinema Meyer fu fotografo professionista e firmò il primo paginone centrale di Playboy . La modella ritratta, che essendo la prima non poteva che chiamarsi Eve , diventò subito dopo sua moglie.

Il suo amore per le smisurate maggiorate è alla base di tutta la sua prolifica carriera cinematografica. Il vero debutto fu nel 1959 con The Immoral mr. Teas, considerato allora e successivamente come il primo film porno Usa . Ma nonostante ciò, la fama dei suoi film risulta inversamente proporzionale al contenuto sessuale esplicito degli stessi.

Nel suo miglior lungometraggio, Faster Pussycat! Kill! Kill! (strampalato esempio di road movie violento in cui una banda di perfide motocicliste capeggiate dalla splendida indo-giapponese Tura Satana è alle prese con un proprietario terriero altrettanto perfido), girato nel periodo che egli stesso definisce Bianco & Nero Gotico, non vi sono nudità di alcun tipo (il periodo è quello tra il 1964 ed il 1965, durante i quali filma anche Lorna, Mudhoney, Motor Psycho).

E la sua carriera, proprio a causa di questo restare in sospeso tra le richieste di contenuti espliciti ed al contempo di critiche d’autore, ha subito degli alti e bassi.

Un esempio di tale contraddizione sta da una parte negli elogi che RM ha sempre riscosso presso il pubblico femminista e dall’altra parte dalle brutali scene di stupro presenti in alcuni dei suoi film (e che egli supponeva essere molto divertenti).

In ogni caso e da ogni angolazione in cui si voglia vedere, resta senza dubbio certa l’importanza del contributo grottesco di Meyer alla formazione di generazioni di cineasti undergroud e la sua influenza su un certo tipo di estetica che si estende oltre il campo cinematografico.

Le opere successive al 1969, anno in cui Russ Meyer firma un contratto per una major hollywoodiana, anche se più conosciute, restano forse meno spontanee, ma ugualmente valide. Tra queste Vixen, Supervixens e Beneath the Valley of the UltraVixens.
11 ottobre 2004