sabato, gennaio 15, 2005

STRANGE DAYS (Elektra, 1968).

Il disco ricalca sostanzialmente la struttura dell'opera d'esordio. Il tema di fondo e`: "giorni strani". Il disco esce nel 1968, e certo sono giorni strani per gli States, per i giovani nei campus occupati, per i soldati nel Vietnam, per i neri in rivolta. Morrison vive a modo suo l'inizio di una nuova era, fiutando le crisi che metteranno in ginocchio il paese e presagendo la pazzia e la solitudine che trasformeranno i grattacieli in manicomio e gli appartamenti tutti uguali in celle d'isolamento. La gente della metropoli e` perduta, straniera, confusa, alienata, ostile.
In tutto il disco il senso e` dato dalla cadenza, dal tono, dal volume della voce di Morrison: lugubre quando si leva da una dimensione quasi d'oltretomba a profetizzare apocalissi imminenti; soffocata, sotterranea, mormorio mesto e minaccioso quando "conversa" casual e distaccata con i suoi fantasmi interiori.
Una vertiginosa apertura organistica lancia il motto di "Strange days have found us" ("strani giorni ci hanno trovati", come se avessero dato la caccia per anni a un'umanita` troppo sicura della propria civilta'): l'annuncia sinistra e anemica una voce catacombale (ottenuta con un elementare e molto suggestivo effetto di eco). Il brano-manifesto gioca sull'equivoco della parola-slogan "strano": strano perche' incomprensibile, strano perche' diverso, strano perche' allucinato. Incomprensibile perche' la confusione della sua generazione non e` mai stata cosi` grande, e nel momento dell'apparente trionfo si percepisce una indefinibile sensazione di sconforto. Diverso perche' mai la societa` era stata percorsa da moti cosi` asociali, mai era stata messa cosi` in discussione la sua stessa sopravvivenza. Allucinato perche' visto sotto l'effetto di potenti allucinogeni. Queste le tre direttive di tutta l'opera.

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