venerdì, febbraio 18, 2005

L'ultimo spietato

La lastra di cemento blocca nel Tempo i nomi di tre ragazzini: uno di essi è incompleto, simbolo di un’infanzia rubata. L’accorato fiume di lacrime di Eastwood racconta la favola nera dell’esistenza, quella in cui tutti i bambini restano chiusi in uno scantinato, immaginando una vita migliore, prigionieri di una disillusione. La Morte, gettata nel fiume come un sasso, crea cerchi concentrici che conservano il medesimo epicentro pur credendosi indipendenti l’uno dall’altro: "Non so come, ma io ho contribuito alla sua morte", dice il padre della vittima, un Sean Penn che buca lo schermo con le sue grida di dolore, e il cui fantasma di regista aleggia su tutta la pellicola (rivedere i suoi pessimisti drammi familiari, meditativi, tragicamente esistenziali, dominati dal paesaggio e da figure ferite e mai riconciliate). Il suo personaggio è anche l’ultimo de GLI SPIETATI, dei giustizieri violenti che Eastwood non può e non vuole mai stigmatizzare del tutto, perché possono celare un gran cuore (come rimarcherà, in una scena sorprendente, sua moglie): se la colpa non trova l’essere completamente malvagio, qual è il senso del Male in UN MONDO (si fa per dire) PERFETTO? I segni (il movente del pestaggio, sconosciuto, potrebbe essere la vendetta o un’altra infanzia perduta; forse l’amore proibito ha deciso il corso del "fiume" della vittima) non indicano la via, fino a perdere senso. Solo una presa di coscienza, con cui il poliziotto ritrova il volto della moglie perduta, ribalta il senso di sconfitta di fronte ad un Vampiro che ti entra dentro e agisce per tuo conto, non permettendoti di crescere, di uscire di prigione, di spezzare la crudele reiterazione (per due volte Robbins viene caricato a tradimento su di un’auto). Lo sceneggiatore Brian Helgeland bara con il personaggio di Tim Robbins che fa di tutto per essere creduto colpevole, al di là di ogni ragionevole follia: è l’anello debole di un’opera che si tinge di giallo e trova nuovi sospetti fino al colpo d’arma da fuoco, accecante per lo spettatore perché la visione al cinema si affronta da soli come la morte.

Niccolò Rangoni Machiavelli

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